Perle, diamanti e rubini: preziosità in cantina che hanno stimolato la nostra curiosità di appassionati di gusto e di aromi, di trame e racconti enologici alla ricerca di una Franciacorta ancora giovane e già così promettente per intrecci di cultura di cibo e di poesia, di piacere e di memoria.
Perle, diamanti e rubini: ci ha attirato e catturato la proposta di Castelveder di Monticelli Brusati, produttore non ancora conosciutissimo ma che nell’edizione di quest’anno del Festival di ‘cantine aperte’ del vino bresciano ha offerto un percorso, intelligente e originale, di rappresentazione scenica di un miracolo. Di quel mistero fresco e oscuro come l’odore dei muri umidi degli ambienti che trasformano l’uva in vino, il frutto in nettare, gli acini in bollicine. Un processo antico, un segreto tramandato, un mistero quasi inverosimile e che viene di solito solo sfiorato e fatto appena annusare ai fruitori di quelle ‘visite guidate’ oramai consuete tra tini moderni, travasi di mosti e riposi lunghi di botti e bottiglie, tra quella cura attenta e infinita in realtà già iniziata molto prima. Il lavoro dei cantinieri, Romano e Tiziano, e degli enologi è solo infatti una consegna di fatica di contadini, di amanti della terra, di poeti del sole e delle rugiade, di controllori di clima e di difensori da molestie di natura o di altro, uomo compreso. Una fatica d’amore e di fiducia. Visite guidate che spiegano a curiosi e interessati quasi tutto e quindi in realtà nulla, perché quel quasi racchiude la custodia del tesoro, l’alchimia irripetibile e segreta del gusto e del gesto di chi fa il vino. Perle, diamanti e rubini: gli Alberti, appassionati titolari di Castelveder, ci hanno attirato e non ci hanno deluso. Ci hanno proposto, in luogo della consueta visita già ricordata, un connubio tra arte figurativa in movimento e la fragranza di questo ottimo vino: tre momenti evocativi ed emozionanti affidati alla grande espressività di attori, musicisti, ballerini e mescitori, scaturiti dalla fantasia organizzativa di Emanuela Alberti, regista e autrice dell’evento. Altre donne, altre autrici hanno dato un tocco magistrale al pomeriggio di cantina: Cristina Alberti, preziosa e insostituibile nel coordinare lo staff dei collaboratori e la giovane nipote Camilla, amministratrice dell’azienda, a curare l’accoglienza e gli aspetti commerciali coadiuvata dalla paziente precisione di Marcella Pezzotti.
Perle. I visitatori vengono accompagnati nella ‘sala delle pupitres’: uno dei luoghi più sacri della cantina, quello dove le bottiglie dormono il sonno antico che sa trasformarle in ricettacoli di piacere, in dispensatrici di bontà e allegria. In questa atmosfera di penombra magica e di paziente attesa il ballerino italo-brasiliano Paolo Gandolfini, accompagnato dalle sapienti sonorità percussive di Carlo Dodesini, replica il movimento di nascita del perlage e l’effetto è veramente straordinario: un crescendo di intensità brevissima ma irrefrenabile trasforma l’immobilità, appena roteata da mani leggere ed esperte, in espansività incontenibile e inebriante. Esattamente come quella dell’Extra Brut Castelveder che viene servito a fine rappresentazione. Paolo e Carlo sono bravissimi e l’emozione che sgorga sembra proprio liquida, liberata dal tappo.
Diamanti. Il percorso continua e ci si sposta nella ‘sala rossa’, quella confinante con la roccia preziosa di Franciacorta. Qui i giovani attori, molto bravi anch’essi, Alberto Vanoglio e Alida Boniotti recitano un testo che ripropone il mito di Filemone e Bauci, gli sposi che videro esaudito da Giove il desiderio di non essere separati nemmeno dalla morte e dai cui corpi, si narra, presero vita un tiglio e una quercia indissolubilmente avvinghiati. La rappresentazione vuole essere un omaggio alle ‘nozze di diamante’, appunto, che Elena Nulli e Renato Alberti, fondatori della cantina e presenti e sorridenti tra il pubblico, hanno di recente festeggiato. Anche in questo caso l’emozione è palpabile e la mescita di Castelveder Filemone e Bauci, il millesimato che i figli Alessandro, Emanuela, Michele e Cristina hanno voluto creare in onore dei capostipiti, altro non sembra che la continuazione di una festa, il giusto brindisi per una celebrazione.
Rubini. Il terzo momento è nel ‘saloncino’ di Castelveder, il luogo mondano, quello deputato, a differenza degli altri due rubati al lavoro quotidiano dei cantinieri, a ospitare rappresentazioni e cene, incontri e convivi. Qui la festa si fa rossa tra la musica incalzante, le danze improvvisate dagli ospiti e la mescita del Brut Rosé in attesa della cena proposta dal giovane cuoco Roberto Abbadati. E più degna conclusione di una giornata magnifica e insolita non poteva esserci: anche in questo caso con naturale eleganza ma anche con sorprendente originalità, avendo sentore del giusto spazio per la ricerca e la creatività ma senza stravolgere mai il senso del buono. Quel senso del buono il cui odore si spande intenso sulla terra di queste colline di vitigni, tra le strade di questa contrada: quel senso di buono che è sereno come la fatica silenziosa dei contadini e quella allegra dei vendemmiatori. La fatica attenta e giusta di chi produce questo inimitabile Castelveder.